L’importanza della zona donatrice nel trapianto capelli FUE
Da quale zona vengono prelevati i capelli e in base a cosa viene scelta? Il primo obiettivo di...
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Lo Shock Loss è un fenomeno naturale che interessa il cuoio capelluto ed è legato al post trapianto di capelli. Vediamo di cosa si tratta.
Lo shock loss è un fenomeno che interessa il cuoio capelluto ed è legato indissolubilmente al trapianto di capelli, tanto da influenzare molto spesso la decisione finale del potenziale paziente in merito alla chirurgia.
Conosciuto anche come “effetto shedding”, affligge circa il 60-80% dei soggetti che subiscono l’operazione, causando un disagio non indifferente e può essere definito come un telogen effluvium localizzato, traducibile in un peggioramento della qualità e un conseguente diradamento dei capelli indigeni: soprattutto dopo un intervento di autotrapianto, infatti, non è difficile notare che anche i capelli naturali, non interessati dalla chirurgia, possano a un certo punto miniaturizzarsi e cadere, modificando totalmente la foltezza esistente sull’area interessata.
Non bisogna spaventarsi però, perché tale processo è del tutto fisiologico, non è irreversibile, anzi, si mostra del tutto temporaneo, e prevede un recupero totale dei bulbi persi.
Per quanto il chirurgo e il suo staff utilizzino al meglio la loro esperienza e la strumentazione innovativa, il trapianto (soprattutto la fase delle incisioni sulla cute ricevente) rappresenta un danno intenso a carico dei tessuti, che si traduce appunto in questa caduta massiva.
L’infiammazione importante del cuoio capelluto in questo frangente, comporta infatti dei veri e propri stravolgimenti in diversi processi fondamentali del nostro organismo: l’apporto di nutrienti e sostanze vitali crolla, la microcircolazione viene completamente stravolta.
Inevitabilmente, questi cambiamenti importanti e purtroppo negativi, influenzano il bilanciamento degli ormoni che regolano il ciclo vitale del capello, il quale si ritroverà a dover sopravvivere senza le sue componenti fondamentali: senza l’afflusso di sangue necessario e quindi senza ossigeno e nutrienti sufficienti, il bulbo non può far altro che indebolirsi gradualmente ed anticipare la fase telogen (fase di caduta).
Lo shock loss può interessare non solo l’area ricevente del cuoio capelluto, ma anche la zona donatrice occipitale: anche sulla nuca (cosiddetta area sicura di prelievo), a seguito dello stress infiammatorio, il bulbo, per un periodo ristretto di tempo, si ritrova depauperato delle sue sostanze fondamentali e vira verso un peggioramento in termini di qualità.
Ma è tutto prevedibile e assolutamente normale; il nostro organismo è una macchina perfetta, abituata a subire traumi e danni di varia origine, ma anche a rispondere ad essi, guarendo e recuperando gradualmente le condizioni ottimali.
Non a caso, intorno al 4° mese post chirurgia, il cuoio capelluto recupera una condizione più favorevole ed accogliente e, proprio in questo momento, si assiste alla ricrescita dei bulbi persi in fase di shock loss: l’infiammazione del tessuto si sarà ormai placata (se non addirittura risolta del tutto), i fenomeni fisiologici avranno ripreso la loro normale attività, in modo da permettere così la crescita ottimale dei capelli, fino al termine dei 12 mesi prestabiliti, momento in cui si andrà ad apprezzare il risultato finale del rinfoltimento.
Inizialmente abbiamo collegato lo shock loss al trapianto di capelli ma, seppur in percentuale minore, si può assistere a questo effluvio anche a seguito di utilizzo di farmaci specifici per la caduta.
Il Minoxidil, ad esempio, principio attivo che stimola il microcircolo, causa molto spesso uno shock loss all’inizio del trattamento, solitamente nei primi 3-4 mesi.
Ma perché? La risposta è molto semplice: il minoxidil, di base, favorisce il rinnovo dei bulbi sul cuoio capelluto e, mentre migliora l’apporto di nutrienti ed ossigeno, spinge anche quelli in fase terminale a cadere per lasciar posto ai nuovi, pronti a spuntare in fase anagen (fase di crescita del ciclo vitale del capello). Discorso simile anche per l’utilizzo della Finasteride, ma in tempi più ristretti (poche settimane).
Ecco perchè quando si iniziano terapie di questo tipo bisogna sempre essere seguiti da un medico che possa sostenere e rassicurare il soggetto in questione: demordere alla prima difficoltà, accertata e comprovata, sarebbe un errore e non porterebbe da nessuna parte.
Il percorso tricologico richiede sicuramente qualche sacrificio, ma bisogna informarsi e perseguire la terapia per l’arco di tempo previsto dallo specialista: la pazienza e la caparbietà daranno i loro frutti, in questo caso capelli più sani e più forti.
In media lo shock loss inizia circa 3-4 settimane dopo l’intervento chirurgico, tempo in cui come da prassi, si assiste alla caduta dei capelli appena trapiantati, e può durare fino ai 3 mesi.
È forse il momento peggiore dell’intero percorso post operatorio, anche a livello psicologico: è un vero trauma per il paziente ritrovarsi nuovamente in condizioni di disagio estetico, dopo aver assaporato tra l’altro la concretezza del rinfoltimento nelle prima settimane dopo il trapianto, quando la foltezza è massima e proietta idealmente verso la risoluzione definitiva della problematica.
I capelli trapiantati, come sappiamo, cadono dopo una ventina di giorni per una questione di indebolimento e stress del fusto che viene chirurgicamente prelevato, innestato e meccanicamente trasferito da una zona all’altra della testa, mentre i capelli indigeni nelle zone circostanti vengono interessati da questo deterioramento a causa di una condizione di stress e di forte flogosi che ne deriva e che compromette lo status fisiologico dei tessuti che ospitano i follicoli piliferi.
L’intensità del fenomeno di shock loss può dipendere da vari fattori e può essere parzialmente controllato, questi i fattori che ne influenzano la comparsa e l’intensità:
Maggiore è il numero di innesti preventivati nella seduta chirurgica, maggiore sarà la quantità di incisioni da effettuare sul cuoio capelluto e quindi maggiore sarà la profondità e la diffusione dell’infiammazione cutanea che ne deriva. Se molto intensa, la flogosi causerà con ogni probabilità uno shock loss importante e leggermente più duraturo.
Preventivare un quantitativo idoneo di grafts è uno step fondamentale in ogni trapianto: nel conteggio non si può tener presente soltanto l’obiettivo foltezza, ma anche se la cute è in grado di sostenere tale mole di innesti, sia in zona donor che in ricevente. Superare i parametri anatomici non equivarrà a soddisfare il paziente ma solo ad arrecargli con ogni probabilità un danno non richiesto.
Fondamentale per non danneggiare, in primis, l’integrità delle uf da trapiantare ma anche la cute interessata dalla chirurgia. Durante l’intervento chirurgico è necessario restare molto superficiali (4mm circa) e non sciupare oltremodo i tessuti sottostanti che devono restare assolutamente integri (a tal proposito si fa riferimento alla tumescenza, cioè iniezione di soluzione fisiologica per gonfiare e salvaguardare i tessuti). L’esperienza in questo caso la fa da padrona: in interventi così delicati e minuziosi, l’improvvisazione e la casualità non sono accettabili.
Strumenti innovativi, delicati e dalla massima efficienza garantiscono un “danno” limitato ai tessuti e una guarigione immediata, senza segni, cicatrici ed esiti infiammatori eccessivi e durevoli nel tempo. Ad oggi, esistono diverse metodiche, super delicate, che garantiscono una incisione (sia di prelievo che di innesto) molto raffinata:
FUE: oggi la tecnica Fue è molto minuziosa e particolare, molto attenta a non danneggiare né la nuca né il cuoio capelluto ricevente, per garantire recupero immediato e semplice. Al contrario della FUT (molto più invasiva e primordiale, a causa della cicatrice occipitale permanente) lavorare con unità follicolari singole, comporta una guarigione più veloce e semplice.
SAPPHIRE– ZAFFIRO: punta di incisione utilizzata in area ricevente, prismatica e derivata dalla pietra dello zaffiro, risulta molto affilata e in grado di creare canali più stretti che genereranno crosticine meno evidenti. Chiaramente anche la flogosi che ne deriva è di mole ridotta, e quindi anche l’effetto shock loss.
DHI: sistema molto in voga nell’ultimo periodo, consente di incidere e innestare l’unità follicolare contestualmente, mediante una penna che viene continuamente caricata con le grafts. Richiede forte manualità ed elimina una fase del trapianto, riducendo sia i tempi che i traumi post. Molto utile per lavorare a capelli lunghi.
Va precisato che lo shock loss è un fenomeno inevitabile, ma sicuramente utilizzando le tecniche elencate potrà manifestarsi in maniera più contenuta e potrà risolversi più facilmente.
La reazione al trapianto di capelli può variare da persona a persona ma è proprio qui che la presenza di un medico esperto fa la differenza. Una cute più sensibile accuserà sicuramente molto più di una pelle più spessa e resistente, e risponderà in maniera differente all’infiammazione.
Anche la qualità del capello indigeno può fare la differenza: un bulbo già sottile di natura può soffrire di più gli effetti negativi dello shock loss e cadere in maniera più repentina.
Monitorare l’immediato decorso post operatorio risulta importantissimo proprio per scongiurare danni tissutali non previsti. Sia il chirurgo che il paziente devono necessariamente far attenzione ad alcuni passaggi: la cicatrizzazione e la guarigione hanno dei tempi standard, che il medico dovrà controllare costantemente e che il paziente dovrà rispettare, astenendosi dalle attività vietate, per evitare di estendere il regolare recupero.
Lo step fondamentale affinché il cuoio capelluto ritrovi la sua condizione fisiologica dopo uno shock loss, è racchiuso nel passaggio dalla fase di riposo dei bulbi interessati, alla nuova fase di crescita.
Rispettare tutte le indicazioni post trapianto che assegnerà il chirurgo è un ottimo inizio per salvaguardare l’esito e la riuscita dell’intervento; ma esistono anche altri mezzi che possono spingere il recupero in questo senso, e si tratta dei trattamenti rigenerativi per eccellenza, di cui abbiamo più volte discusso e che vengono utilizzati in Tricologia e Chirurgia delle Calvizie già da diversi anni:
Utili per fertilizzare e biorivitalizzare i follicoli e quindi stimolare la crescita dei nuovi bulbi.
Il PRP, Plasma Ricco di Piastrine, oggi possibile sia in forma ematica che sintetica, lavora mediante il potere multivalente dei fattori di crescita e delle integrazioni nutritive (biotina, acido ialuronico, citochine, ecc) in aggiunta, proprie anche della Mesoterapia, che permettono al bulbo di riprendere la sua attività al meglio e crescere più sano e più forte.
La Carbossiterapia invece prevede l’utilizzo di CO2 medicale che richiama dosi massicce di ossigeno nei tessuti trattati e permette la stimolazione immediata delle funzioni pilifere vitali.
La terapia Minoxidil per stimolare il microcircolo cutaneo è fondamentale per favorire la riattivazione dei follicoli in fase dormiente e stimolare la crescita dei nuovi bulbi.
Questo farmaco, esistente sia in forma orale che topica, è molto utilizzato nelle terapie tricologiche proprio per la sua comprovata efficacia.
Lo shock loss, proprio come suggerisce il termine, rappresenta un vero e proprio trauma per chi decide di sottoporsi ad un autotrapianto di capelli.
Il miraggio iniziale di una risoluzione definitiva viene distrutta a sole 3 settimane dall’intervento, ma per fortuna è solo una fase transitoria, purtroppo obbligata.
È in questo momento che lo specialista deve rassicurare il cliente, spiegare che si tratta di una fase assolutamente prevista e che bisogna solo armarsi di un po’ di pazienza per superare questo momento critico ed avviarsi ad un momento più sereno in cui si vedranno spuntare gradualmente i nuovi bulbi.
Ancora una volta, perciò, tutto ruota intorno alla figura del chirurgo specializzato che segue il suo paziente sin dalla terapia di preparazione, durante l’intervento chirurgico e ancor più importante, nel periodo post operatorio, caratterizzato spesso da mille dubbi, paure e perplessità.
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