Trapianto Capelli DHI – Cos’è e come funziona

Si descrive il trapianto di capelli con la'innovativa tecnica DHI - Come funziona, vantaggi, svantaggi e focus sull Implanter Pen

Pubblicato da  Vincenzo Masullo  il 28 Settembre 2023
Trapianto Capelli DHI – Cos’è e come funziona

La Calvizie rappresenta una problematica molto diffusa ed è quindi ovvio che oggi risulti anche tra le ricerche più frequenti sul web. Sappiamo bene, ormai, che tra le diverse soluzioni possibili rientrano sia quelle più leggere, come le terapie e i trattamenti medici rigenerativi, che quelle più concrete come l’intervento chirurgico di rinfoltimento.

Tuttavia, quando si parla di trapianto non è semplice per un non addetto ai lavori distinguere tra le diverse tipologie e tecniche esistenti: FUT–STRIP, FUE, MICROFUE, DHI.

Cos’è la tecnica DHI?

Iniziamo dall’acronimo, traducibile in Direct Hair Implantation, cioè innesto diretto dell’unità follicolare nel cuoio capelluto.

Il prelievo delle UF rimane identico (indifferente se si tratti di tecnica FUT o FUE/MicroFue), in quanto la particolarità di questa tecnica risiede esclusivamente nella modalità di impianto dei bulbi.

La novità sta nell’utilizzo di un nuovo strumento, l’Implanter pen, mediante il quale il chirurgo è capace di incidere il tessuto da trattare e posizionare, contemporaneamente e per giunta con un solo gesto, le unità follicolari nella specifica zona ricevente.

Ideato da Yung Chul Choi nel 1990, l’attrezzo si presenta come una vera e propria penna, col suo involucro di plastica che protegge un ago cavo sterile, tagliente all’estremità, in cui gli operatori, con una certa manualità “caricano” le singole grafts da impiantare, per scivolamento, con le loro tipiche pinzette chirurgiche: è necessario prendere l’UF delicatamente, dalla parte più superiore (zona infundibulare e NON zona del Bulge inferiore) facendole scivolare molto attentamente e sempre delicatamente in una sorta di binario affilato.

Una volta pronto per l’innesto, il chirurgo, dopo aver deciso la più giusta inclinazione e l’orientamento che dovrà seguire il bulbo trapiantato, spinge il pistoncino superiore per incidere e rilasciare la grafts nel nuovo alloggio.

Gli Implanter presentano diverse dimensioni, da 0,6mm a 1,2mm, in base al tipo e alla grandezza di graft trattata (mono, bi e pluri-bulbare). Anche in questo caso ovviamente il tessuto viene precedentemente anestetizzato per non arrecare nessun dolore o fastidio al paziente.

Esistono diversi tipi di Implanter Pen: di diverse dimensioni, che variano in base al tipo di unità follicolare con la quale si lavora (mono, bi, pluri).

Ma non è tutto: esistono anche due differenti marchi di questo strumento: il primo è Choi Implanter, che rappresenta la prima Implanter Pen in assoluto, lanciata sul mercato direttamente dal suo inventore; l’altra casa produttrice è la Lion Implanter, anch’essa di ottima fama, che sembra convincere di più per l’utilizzo di aghi di miglior fattura, più affilati e più resistenti.

Sicuramente a breve ne emergeranno anche altre, ma per ora queste due restano le più grandi e migliori produzioni di Implanter Pen.

Quali sono i vantaggi della tecnica DHI?

L’Implanter Pen è nata innanzitutto per ridurre i tempi di un intervento chirurgico di autotrapianto: creare un’incisione e, contemporaneamente, riempirla con l’unità follicolare accorcia di molto la durata complessiva della seduta chirurgica.

Tempi minori fondamentali se pensiamo che in questo modo l’unità follicolare resta meno tempo al di fuori dell’organismo, e viene maneggiata meno, con una probabilità di danno a suo carico sicuramente minore.

Naturalmente, caricare ripetutamente l’Implanter Pen, tra l’altro senza danneggiare minimamente l’unità follicolare, comporta un’enorme attenzione da parte dell’operatore addetto e soprattutto dei tempi tecnici: ecco perché di solito, durante un singolo intervento, se ne utilizzano almeno 4/5 in alternanza, in modo che il chirurgo possa lavorare in maniera fluida senza troppe pause.

Inoltre, questa tecnica risulta molto più comoda nei casi di autotrapianti con capelli lunghi: l’operatore che si occuperà dell’innesto non dovrà più evidenziare e ricercare attentamente i siti chirurgici (perdendone sicuramente qualcuno) tra i capelli indigeni che abbassano di gran lunga la visibilità, ma andrà a ricreare una nuova, e anche maggiore, densità per cm quadrato, senza troppa difficoltà.

Ulteriore vantaggio della tecnica DHI è un minore sanguinamento della cute al momento dell’incisione: oltre a significare danno minore sui tessuti interessati, questo aspetto risulta molto importante per la visibilità del chirurgo, soprattutto se si lavora a capello lungo.

Quali sono gli svantaggi della tecnica DHI?

La manualità dell’operatore che ha la responsabilità di inserire l’innesto nel binario tagliente dell’ago deve essere ineccepibile, per evitare qualsiasi danno all’integrità del bulbo.

In realtà anche la manualità del chirurgo deve raggiungere standard molto elevati; non avere padronanza ed esperienza nell’utilizzo dell’implanter può, allo stesso modo, arrecare un danno sia alla cute che all’unità follicolare (e quindi al suo attecchimento) e allungare i tempi d’intervento.

È necessario pertanto un altissimo controllo dell’unità follicolare, almeno fin dove possibile: una volta caricata nella pen, infatti, essa non è più visibile e non è più possibile verificarne lo stato. Questo comporta certamente un limite alla tecnica.

Gli aghi situati all’interno della penna come parte integrante dello strumento, per funzionare alla perfezione e garantire un ottimo lavoro, devono essere sempre perfettamente affilati ma, piccola nota dolente, si spuntano molto velocemente e vanno sostituiti spesso. I test effettuati parlano di circa 2000 incisioni per ciascun ago, addirittura qualcosa in meno se si tratta degli aghi più stretti.

Ci sono effetti collaterali?

La tecnica DHI non comporta alcun effetto collaterale, anzi protegge maggiormente il paziente dal (già minimo) rischio d’infezione. Abbiamo detto che i bulbi restano meno tempo al di fuori dell’organismo e subiscono meno fasi chirurgiche, quindi son meno esposti a danni; inoltre vengono trapiantati in tempi minori ottenendo una maggior densità, almeno nel caso di interventi a capello lungo.

È chiaro però che tutto dipende dall’esperienza e dalla manualità dello staff, altrimenti l’Implanter Pen può diventare uno strumento pericoloso in mani non esperte (lunghezza dell’incisione, angolazione innaturale, etc.)

In generale, nell’ autotrapianto di capelli, la percentuale di attecchimento rappresenta una variabile molto delicata: più è alta, più sarà soddisfacente il risultato finale. Ebbene essa lo è ancor più adoperando questa tecnica, dove il successo dell’innesto è legato molto alla competenza dello staff nella fase di utilizzo dell’Implanter.

Il decorso post operatorio invece non presenta particolari differenze rispetto a quello già descritto con le altre metodiche; la guarigione degli innesti in zona ricevente rispetta infatti le stesse tempistiche.

Conclusioni

L’avvento di una nuova tecnica chirurgica porta sempre un po’ di scompiglio ed anche questa volta è andata così. Inizialmente scettici, così come fu per la FUE, oggi molti chirurghi si stanno attrezzando per operare con la tecnica DHI. Il vantaggio di poter lavorare in maniera ottimale anche tra i capelli indigeni, senza stravolgere la pettinatura a cui si è abituati, abbatte un tabù molto importante per il paziente che, spesso, subisce un vero e proprio trauma al momento della rasatura.

Come dico sempre, qualunque sia la metodica, non bisogna improvvisare nulla, ma anzi progettare l’intero intervento dalla A alla Z: scegliere innanzitutto la tecnica più idonea, la migliore strumentazione a disposizione, adatta alle caratteristiche peculiari della cute, e usarla nel migliore dei modi per raggiungere il risultato più vantaggioso e la piena soddisfazione del cliente. Discorso ancor più valido se ci riferiamo alla tecnica DHI, che si sta confermando molto utile se attuata nel modo giusto. 

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